4. Una porta chiusa

di Charlie Foo |

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Provammo a contattare la proprietaria di casa, la donna grassoccia e unta con cui avevamo parlato solo il primo giorno in cui eravamo arrivati in paese, ma non rispose al telefono. Quella notte il temporale imperversò anche con più vigore dei giorni precedenti e non potemmo continuare la ricerche. Io trascorsi la notte a pensare al modo di entrare nella stanza chiusa a chiave ma senza successo. Mio marito provò a sfondarla come poté, ma in casa non c’era molto per tirarla giù e per quanto provammo a scassinarla o ad abbatterla, non riuscimmo. La porta era molto pesante e robusta. Decidemmo di comune accordo di aspettare il mattino per ricontattare la proprietaria, tuttavia non potevo chiudere occhio al pensiero dei miei bambini chiusi a chiave nella stanza. Il sinistro cucciolo di barboncino ci fece capire di voler tornare nel cortile nonostante la pioggia. Aprimmo la porta finestra e il cane tornò sotto all’albero di limoni contorto. Trovò una posizione e poi smise di muoversi. Rimase lì, seduto, immobile, gelido, con lo sguardo fisso sulla nostra casa a prendere la pioggia per tutta la notte. Le ore trascorsero lentamente.

Durante la notte, mentre, insonne, mi giravo e rigiravo fra le lenzuola, ebbi una sorta di presentimento emi alzai dal letto per guardare i quadri nel corridoio. Quando mi ci trovai di fronte rimasi pietrificata: i  volti nei ritratti ovali erano cambiati! Al posto del volto della pastorella c’era quello di mia figlia Sarah e il bambino che stringeva il cucciolo di barboncino nel dipinto non era più un anonimo bambino ma era mio figlio Thomas! Ero tanto sconvolta da non riuscire a parlare, ma il terrore mi assalì del tutto quando mi accorsi che nel quadro in cui era rappresentata la coppia in lutto, i volti dei coniugi erano il mio e quello di mio marito! Non potevo crederci, non sapevo che fare! Forse qualcuno era entrato in casa nella notte per storpiare quei volti e dipingere me e la mia famiglia? Forse mi stavo sbagliando, forse quei volti erano sempre stati simili ai nostri. Forse non erano cambiati. Forse stavo solo impazzendo. Da quanto tempo non dormivo? Eppure quei personaggi nei dipinti eravamo proprio noi, non c’era dubbio. Gli occhi dei miei bambini, i loro nasi, la fronte e le sopracciglia di mio marito, i miei capelli e le mie labbra. In quei macabri ritratti ovali c’eravamo noi. Qualcuno stava cercando di farci del male. Mi venne un’idea terribile e cercai di ricacciarla indietro ma era troppo tardi e mi rimase impressa: i volti dei bambini che avevo visto in precedenza, appartenevano forse ai bambini intrappolati nella stanza chiusa prima di Sarah e Thomas? Quanti bambini erano passati da quella stanza? La sola idea che la cosa andasse avanti da sempre mi mise i brividi e iniziai a piangere. Perché era successo proprio a noi? Come avevamo trovato quella casa? Mi sentivo demolita dall’interno. Mio marito accorse alle mie grida e mi raggiunse in corridoio per abbracciarmi. Stretta nel suo abbraccio, con gli occhi chiusi, cercai di dimenticare quei volti nei ritratti. Ripensai alla donna che ci aveva affittato l’appartamento. Lei doveva sapere per forza che la casa era maledetta “Quella vecchia maligna!” iniziai a urlare in mezzo al corridoio. D’un tratto strillai di terrore: il cane era venuto a sedersi dietro alla porta finestra e mi guardava fisso con il suo pelo zuppo e gli occhi acquosi attraverso il vetro. Iniziai a piangere e mio marito si avvicinò a me senza sapere cosa dire. Mi appoggiai alle sue spalle e lasciai andare il mio dolore inzuppandogli di lacrime la maglia scura che indossava. D’un tratto mi vennero in mente le parole della proprietaria. Aveva detto qualcosa sulle proprie tasche quando le avevamo chiesto della porta.

“Guardi le mie tasche e guardi quella serratura” aveva detto, “la chiave è enorme nelle mie tasche non ci starebbe una chiave di quelle dimensioni, io non dico bugie” aveva detto.

Mi venne un’idea. Lasciai l’abbraccio di mio marito e andai a guardare il quadro in cui eravamo raffigurati io e lui. Nel dipinto, lui mi teneva una mano sulla spalla e io avevo le mani nelle tasche dell’abito scuro. Le tasche erano grandi in quella gonna ampia dipinta nel quadro e capii che era lí che dovevo cercare le chiavi.

Mi precipitai nella stanza in cui avevano dormito i miei figli nei giorni precedenti e guardai nell’armadio in cui Sarah aveva trovato il vestito da pastorella. C’erano in effetti alcuni abiti vecchi che odoravano di muffa e di polvere. Erano pieni di pizzi e di ricami e capii che dovevano essere davvero molto antichi. Mio marito mi raggiunse nella stanza e mi guardò mentre frugavo nell’armadio in preda alla frenesia. Tentò di accendere la luce ma doveva essere saltata la corrente. La stanza era buia. A tratti qualche lampo la illuminava a giorno per poi affogare di nuovo tutto nell’oscurità della notte.

“Non capisco, cosa cerchi?” mi domandò confuso.

“La chiave della porta!” risposi con uno sguardo allucinato. “Non tireremo mai giù quella porta, non capisci?” risposi continuando a frugare nell’armadio, “dobbiamo aprirla con la sua stupida chiave!”. Fra gli abiti vecchi trovai diversi vestiti logori e neri. Dei due dipinti nel quadro, il primo abito che trovai era quello indossato da mio marito nel dipinto e per scrupolo ne esaminai le tasche. Non era facile senza luce riuscire a trovarle, ma quando le individuai le esplorai con attenzione. In quelle non c’era nulla, ma non mi stupii più di tanto. Nel dipinto ero io ad avere le mani in tasca. La chiave doveva essere nel mio abito. Continuai a frugare nel baule. Il mio abito nero si trovava proprio in fondo a tutti gli altri. Quando lo alzai notai che era piuttosto pesante. Nella gonna c’era un’ampia sottana, il colletto era di pizzo come nel dipinto e una delle due tasche era rigonfia. Cercai freneticamente la tasca e finalmente riuscii ad infilarvi la mano dentro, ma subito la ritrassi con ribrezzo. La tasca era piena di un liquido vischioso e caldo. Cercai di guardarmi la mano, ma nel buio faticai a capire. Nell’aria si diffuse un odore acre. Mentre esaminavo ancora le mie dita, un lampo illuminò la stanza e scoprii con orrore che la mia mano era ricoperta di sangue! Mio marito ed io urlammo spaventati. Scoppiai nuovamente a piangere ma cercai di non perdere la calma. Mi decisi a rimettere la mano in quella tasca che sembrava continuare a sgorgare sangue come una ferita fresca. Ebbi l’impressione di frugare in un cadavere. Cercai con disperazione la chiave nel risvolto. Affondai il braccio fino al gomito, quando finalmente riuscii ad afferrare la grossa chiave fra le dita e la tirai fuori. Lanciai il vestito lontano da me, poi presi mio marito per un braccio e lo tirai con me in corridoio, dove con mano tremante riuscii a infilare la chiave nella serratura e a girarla. La porta si aprì con un cigolio, come se non venisse aperta da decenni. Davanti a noi l’oscurità.

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Charlie Foo

Autrice di due romanzi,"Seasons"(2017), "Fuga da Gardenia" (2020), e un saggio su Cenerentola (2022), Charlie ama l'avventura, i viaggi e la cioccolata calda. Ha fondato il sito CharlieFoo.it nel 2014.