Il cerchio fatato

di Edith Joyce |

“Non attraversare mai un cerchio fatato.”

Io e Ciara ci conoscevamo da sempre. Le nostre famiglie abitavano in due cottage adiacenti nei boschi della contea di Mayo. Ero cresciuto con lei fin da quando ero bambino e non c’è ricordo della mia infanzia nel quale lei non sia ancora presente. Per un periodo abbastanza lungo le nostre strade si divisero, quando lei decise di frequentare il liceo a Derry e io rimasi nella contea. Le mandavo lettere scritte a mano che lei – come appresi anni dopo, quando tornò a casa – conservava gelosamente, pur senza rispondermi. Da piccoli passavamo i pomeriggi insieme a leggere libri e raccontarci storie e conoscevamo ogni creatura del piccolo popolo. Facevamo tardi la sera per incontrarle, lasciavamo latte e miele sul davanzale e poi spiavamo le fate arrivare.

Quando lei partì per Derry mi disse di non temere e che quando sarebbe tornata, cinque anni dopo, saremmo finalmente riusciti a incontrare un leprecauno. La speranza di questa gioia futura mi fece andare avanti con la mia solita vita, sebbene divisa a metà. Le giornate passavano più lente e mi resi conto di quanto mi mancasse avere qualcuno con cui potevo essere me stesso. Non fraintendetemi: avevo amici, molti, ma con Ciara avevo un rapporto totalmente inspiegabile. Quando finalmente tornò da Derry mi resi conto di quanto fosse diventata bella. Non che prima non lo fosse, poiché aveva sempre avuto dei meravigliosi capelli corvini e degli occhi verdi come l’erba appena tagliata. Nonostante ciò, non l’avevo mai guardata come una donna, fino a quel momento.

Ero sempre stato convinto che la lontananza non avrebbe potuto far del male al nostro rapporto, e che la distanza può solo separare fisicamente due persone, ma ciò che le lega spiritualmente, se è reale, rimane immutato. Dovetti ricredermi. Ciara era diventata una persona diversa dalla bambina che si nascondeva dietro i biancospini, di notte, per spiare le fate danzare sui cappelli dei funghi. Me ne resi conto quando le dissi se era pronta ad andare a cercare un leprecauno nei boschi. Lei mi piantò addosso i suoi occhi verdi e aggrottò la fronte per poi scoppiare in una risata limpida. Concluse, quindi, che stavo certamente scherzando, e mi trascinò per mano e mi portò a passeggiare tra i boschi, raccontandomi di Derry.

Io non scherzavo. Non avevo smesso di credere nel piccolo popolo, non avevo smesso 19 di credere a tutto ciò che avevo visto con i miei occhi – e lei con me – durante la nostra infanzia. Avevo paura di ciò che era diventata e temevo che il piccolo popolo potesse scatenare la sua ira su di lei. «Ho un regalo per te» le dissi, mentre la pioggia fitta di agosto iniziava ad abbattersi violenta nel bosco. Ci riparammo sotto le fronde di un albero con le nostre schiene appoggiate al tronco e il petto ansimante. L’odore d’acqua ed erba ravvivava l’aria fredda di quel pomeriggio. Ciara mi guardava curiosa. Dalla tasca dei miei pantaloni di cuoio marrone estrassi un anello claddagh con uno smeraldo verde a forma di cuore. «L’ho comprato a Galway, appena sei andata via. Sapevo che avrei avuto modo di dartelo, prima o poi» le dissi, mentre il mio viso si arrossava di imbarazzo e le sue labbra si distendevano in un sorriso meraviglioso. A tratti – forse perché ero io a desiderarlo così intensamente – mi sembrava di vedere l’espressione della Ciara che avevo conosciuto. Quella bambina incredibile, che emanava luce e gioia, e che conosceva la serietà della magia. Forse non tutti sanno che un anello claddagh può essere indossato con la punta del cuore verso l’esterno, e ciò significa che il nostro cuore è libero, oppure con la punta rivolta verso l’interno – verso il nostro polso – e ciò significa che il nostro cuore appartiene già a qualcun altro.

Lo avevo regalato a Ciara non come anello di fidanzamento; anche se in questi cinque anni mi ero reso conto che quando era lontana mi mancava più dell’aria, non sapevo, né potevo immaginare se i miei sentimenti potessero trovare spazio nel suo cuore. Glielo avevo regalato perché il claddagh è tradizioni, e le tradizioni ci avevano sempre unito. Lei aveva davvero sorretto il mio cuore con le mani dell’amicizia e il nostro rapporto era davvero coronato dalla realtà e dalla fiducia. Quando Ciara infilò l’anello con il cuore chiuso all’interno mi sentì come se il suolo sotto di me si aprisse e io fossi pronto a precipitare per miglia e miglia nelle profondità della terra. «baineann mo chroí leat agus bainfidh tú leat go deo1» mi disse. Ci baciammo, e fu uno di quei baci lunghi e senza sosta. Fu uno di quei baci che aspetti da anni, che sogni da anni, uno di quei baci che non ti fa andare a dormire la notte e che fa sembrare di poco conto ogni altra cosa sulla terra. Fu un bacio talmente forte che il cielo decise di trattenere la sua pioggia e cacciare quelle nuvole dense di nostalgia per tutto il tempo che avevamo passato divisi. Quando il sole si mostrò in tutto il suo splendore, riscaldando appena il bosco, un grande arcobaleno si estendeva fin dove i nostri occhi potessero raggiungerlo. Era uno spettacolo incredibile. Lentamente l’arcobaleno sparì, fondendosi con i colori prugna di un cielo sempre più scuro che cedeva il passo alla sera.
«Il mio cuore ti appartiene e ti apparterrà per sempre»

Facemmo l’amore e fu per entrambi la prima volta, ma neanche il peggiore dei presagi poteva farmi immaginare che quella sarebbe stata anche l’ultima. Le nostre mani erano strette e le nostre dita avvinghiate. Ci addormentammo cullati dal canto degli uccelli notturni e da un vento mite e gentile che ci accarezzava il volto. Quando mi svegliai, Ciara era davanti a me, in piedi, e osservava il centro di un cerchio fatato. Era un cerchio di funghi piuttosto grandi, che includeva anche il tronco di un salice.

«Mi è caduto l’anello, Connor. Deve essermi scivolato via mentre facevamo l’amore» mi disse, sorridendo. Io rimasi a terra, con la schiena poggiata contro il tronco di un albero.
«Non fa nulla. Ce lo riporteranno le fate o il vento». Attraversare un cerchio fatato è un grave affronto al piccolo popolo, e Ciara lo sapeva benissimo. Nonostante ciò, si chinò appena, sporgendosi all’interno del cerchio per recuperare l’anello. La pietra di smeraldo brillava nel buio stellato di quella notte d’estate. Non feci in tempo ad alzarmi, né a trascinarla via.
«Ciara!» gridai. Ma fu troppo tardi. Ciara sparì in un vortice di polvere azzurra e la persi per sempre. Ogni notte torno in quei luoghi e la cerco. Prego le fate di ridarmela indietro, ma nessuno nei boschi della contea di Mayo vuole ascoltare le mie suppliche.

Ho deciso di impiccarmi al salice. Darò alle fate un corpo, affinché Ciara possa tornare indietro.


Edith Joyce

Innamorata del realismo magico, Edith racconta le storie del piccolo popolo perché non vadano perdute. Sogna un'Irlanda unita.